Reddito per tutti. Combattere la povertà in un nuovo welfare

Reddito per tutti. Combattere la povertà in un nuovo welfare
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Pubblicato: 2019
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Abbiamo bisogno di protezione. Fuori piove, parecchio, e abbiamo bisogno di un ombrello che ci protegga. Lo stato sociale ha permesso a milioni di individui di risollevarsi dalla miseria e uscire dalla povertà. Ma occorre rilanciare: se si vuole un recupero del welfare, oggi in grande crisi, bisogna muoversi come farebbe il cavallo negli scacchi: in avanti e lateralmente, nello stesso tempo. Il reddito per tutti è un passo in avanti, perché espande la protezione in senso realmente universale, e uno laterale, perché non richiede obblighi e contropartite. Basta un cuore che batte. «Dobbiamo occuparci del mondo in cui viviamo, per non lasciarlo in balìa di forze che non ci piacciono e che apparentemente non controlliamo. Leggere questo libro è un modo per farlo» (dalla prefazione di Ambrogio Santambrogio).

  • Imprenditori di se stessi: uno dei peggiori slogan creati negli ultimi decenni, che, da sogno di tutti, è diventato un incubo personale. Perché significa questo: risposte individuali a problemi collettivi.
  • Brutalmente se perdi il lavoro, è colpa tua; non sei riuscito a mantenere il posto, a far andare meglio l’azienda, a garantire quel lavoro entro quel certo tempo, ad andare d’accordo con il capo, ad essere flessibile nel modo corretto, a dare il giusto peso al lavoro rispetto alla famiglia. E se non riesci a trovarlo, il lavoro, è perché non hai competenze giuste, non ti dai da fare, non serve a nessuno probabilmente vali poco. Hai sbagliato, hai fallito. Non sei innocente: potevi fare sicuramente meglio e di più.

 

  • E qui veniamo al reddito per tutti o Reddito di Base Incondizionato (RBI), cioè un’idea che possiamo far risalire addirittura al pensiero di Tommaso Moro o Thomas Paine. Attualmente la proposta più nota e più compiuta sul reddito di base incondizionato, è quella lì Philipphe Van Parijs.

 

  • In tutti i paesi europei sono previste misure di lotta alla povertà, che per semplicità, chiameremo di Reddito Minimo Garantito.
  • Ma sono riservate solo ai poveri e/o ai disoccupati, presuppongono un controllo delle risorse economiche dei potenziali beneficiari (cioè la prova dei mezzi), tengono conto della loro situazione familiare e sono condizionate dall’impegno, più o meno stringente, a partecipare ad un progetto di inserimento sociale, quasi sempre di tipo lavorativo.
  • Per continuare a ricevere il sussidio economico, chi lo ottiene deve dimostrare di cercare lavoro attivamente e non rifiutare proposte di impiego (entro un certo limite a seconda delle legislazioni dei vari Stati).
  • Sono quindi misure selettive e condizionate. Il RBI sarebbe il reddito di base incondizionato è invece universale e incondizionato: è attribuito a tutti, ricchi e poveri, (quindi senza controllo delle risorse economiche), su base individuale (e non familiare), senza esigenza di contropartita alcuna e senza verifiche su l’utilizzo delle somme percepite. E poi cumulabile con altri redditi

 

  • I disoccupati diventano sempre di più e lo sono sempre per più tempo; e poi si affermano le teorie economiche e le conseguenti politiche neoliberiste, che mettono pesantemente l’accento sul singolo individuo e sulla necessità – che per dirla in breve – ognuno provveda se stesso.
  • Così le misure di Reddito Minimo Garantito vengono sempre più orientate a rendere autonomo il beneficiario, meno dipendente dal welfare, più capace di fare da sé.

 

  • L’esperimento finlandese. Il governo finlandese presieduto da quasi Juha Sipila, di centro-destra, ha deciso di erogare a 2000 disoccupati un sussidio economico di €560 al mese, in un progetto pilota di 2 anni partito nel gennaio del 2017.
  • Si tratta di un vero e proprio reddito di base incondizionato perché la somma è trasferita automaticamente, senza condizioni e non deve essere oggetto di nessun tipo di rendicontazione; un eventuale reddito aggiunto è semplicemente tassato al 43%.
  • I beneficiari sono cittadini estratti a sorte tra i 25 58 anni, senza lavoro e già percettori di sostegno di per la disoccupazione. (L’evoluzione dell’esperimento è reperibile sul web).

 

  • Con il reddito di base incondizionato si poteva ridurre in modo drastico il numero dei dipendenti pubblici che si occupano di assistenza sociale, che è un’importante base elettorale del centrosinistra.

 

  • Gli effetti delle disuguaglianze, poi, durano per tutto il periodo della crescita se non adeguatamente contrastati.
  • I bambini e ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate sono più frequentemente obesi e nutriti in maniera non adeguata, fanno meno visite pediatriche, oculistiche o dentistiche, e meno attività sportive, hanno minori competenze cognitive, partecipano con minore frequenza di attività sociali (come le gite scolastiche), più spesso non dispongono di spazi adeguati dove poter studiare o non possono invitare amici a casa propria per giocare e far merenda insieme ho festeggiato il compleanno.

 

  • Claude Halmos, psicanalista, sostiene che la crisi economica stia generando una specie di epidemia di depressione nei diversi strati della società che va riconosciuta per quello che è: “Non sono gli individui a essere deboli fragili o viziati: il fatto è che la realtà talvolta è davvero insostenibile. La gente vive male perché teme la disoccupazione, l’abbassamento del tenore di vita o la mancanza di un futuro per i figli. È una sofferenza che va riconosciuta”.

 

  • L’obiettivo principale che Beveridge si propone è quello di abolire il bisogno.
  • Il bisogno a due cause principali: non avere un lavoro che dia reddito; percepire un reddito inadeguato in rapporto alla numerosità della famiglia.

 

  • È difficile far passare il messaggio che avere garantita la sussistenza è un diritto umano e di cittadinanza fondamentale.
  • Questa difficoltà deriva da un ulteriore pregiudizio sui poveri (oltre a quello dello sperpero degli aiuti economici), che scontano una plurisecolare immagine di soggetti tendenzialmente non meritevoli o con debole fibra morale:
  • “Nonostante sia chiaro che la disoccupazione crescente non è l’esito di scelte dei disoccupati e che l’inoccupazione sia in larga misura l’esito vuoi del carico di lavoro non pagato sopportato da molte donne, vuoi di fenomeni di scoraggiamento, si continua a pensare che i poveri debbano essere continuamente stimolati, attivati, per meritarsi un qualche sostegno, a prescindere dalle efficacia di tali attivazioni”.

 

  • È perlomeno curioso che, proprio mentre l’economia e il mercato rendono fragili il rapporto di lavoro, e obsoleti molti mestieri, si punti il dito invece sull’incapacità dell’offerta a cogliere le occasioni che (non) ci sono.

 

  • Al povero, che è tale perché escluso dal mercato del lavoro, può essere riconosciuto un diritto al reddito sussidiato solo se si piega a quella logica economica che ha fatto di lui ciò che è, cioè il povero.
  • In questo circolo vizioso, il sostegno pubblico viene vincolato a una pedagogia moralizzatrice alimentata dalla circolazione a senso unico di opinioni che consolidano, nella percezione collettiva l’idea secondo la quale la povertà è una colpa.

 

  • Una logica che distingue tra poveri meritevoli e poveri non meritevoli.
  • Sarebbe ora di liberarci da questa inutile è ingiusta distinzione tra due tipi di poveri e dal pregiudizio secondo cui una vita senza povertà è un privilegio che bisogna guadagnarsi lavorando invece che un diritto di tutti.

 

  • La tecnologia. Quando siamo entrati l’ultima volta in un negozio di dischi oppure siamo entrati fisicamente in una banca? Per parecchi questo è avvenuto solo molto tempo fa, visto che web e robot hanno sostituito moltissimi lavori che ora sembrano semplicemente obsoleti.
  • Lo scrittore Staglianò ci ricorda che l’automazione comporta, a livello individuale una maggiore convenienza immediata, ma, a livello collettivo, la fine di una grande quantità di lavori che prima venivano svolti fisicamente da un essere umano.

 

  • Il lavoro, dunque, per troppi, non c’è e non ci sarà più. Ma poi, se c’è, è, di nuovo per troppi, precario. Il rapporto di impiego si è talmente destrutturato e frammentato, in maniera degradante, che si è arrivati a parlare di uberizzazione del lavoro.
  • Ma cos’è la precarietà? Lapidario e chiaro è Bauman, scrittore: “Una esasperante insicurezza della propria posizione sociale frammista a un’acuta incertezza sul futuro dei propri mezzi di sussistenza”.

 

  • Un lavoratore “tenuto al guinzaglio” da redditi bassi e contratti precari ed esposto continuamente alla perdita del lavoro, è costretto, secondo Scognamiglio, (un altro scrittore), ad accettare qualunque condizione, la più comune delle quali è il lavoro aggiuntivo non pagato.
  • È questo costante ricatto a ledere profondamente la dignità della persona: l’assenza di diritti non sono impedisce una progettazione di vita, ma comporta anche la perdita dell’autostima e dell’orgoglio nel lavoro e l’essere costantemente in balia del capo.

 

  • Michel Lallement, ad esempio, si domanda “perché diavolo lavoriamo?”, e sostiene che lo facciamo certamente per guadagnarci da vivere, ma anche per partecipare attivamente alla “trasformazione di se stessi”, per avere dei vantaggi in termini di piacere, intelligenza, autonomia (quando è possibile), per agire con gli altri, per apprendere e condividere un codice comune e integrarsi nel mondo sociale. Non solo per soldi, insomma, ma anche per una sorta di gratificazione che viene dal mettersi alla prova, dal collaborare con chi ci circonda, dal migliorarsi, dal sentirsi parte attiva di un tutto.
  • Per cui chi è espulso dal mercato del lavoro subisce un’esclusione sociale che non può essere compensata solamente da un sussidio economico, perché ha a che fare con l’incapacità di agire e con il senso di impotenza che deriva dal non lavorare.

 

  • Ci troviamo dinnanzi a lavoratori ormai totalmente mercificati, privi di potere contrattuale a causa sia dell’ampia massa di manodopera di riserva prodotta dalla disoccupazione, sia in ragione della quasi totale perdita dei diritti un tempo contenuti negli statuti dei lavoratori.

 

  • L’ideologia del Lavoro è quella idea, ancora largamente diffusa, trasversale, interclassista e condivisa, per cui l’attività lavorativa continuata e remunerata è, quasi esclusivamente, la ragione principale della partecipazione alla vita collettiva, l’unico mezzo per esprimere se stessi e vedersi conferito il pieno diritto alla cittadinanza.

 

  • Il lavoro è quello che è (precario, santuario, eccetera) ma se non ce l’hai è un problema (tuo) perché ancora domina l’ideologia per la quale, sotto sotto, bisogna vivere per lavorare

 

  • Il reddito di base incondizionato potrebbe esprimere tutta la sua “potenza” in modo più ampio, perché in grado di favorire l’autonomia e il lavoro libero.

 

  • Il reddito di base incondizionato “darebbe a tutti la possibilità di seguire i propri sogni e, nello stesso tempo, essere di aiuto agli altri”. Senza contare “inventori/innovatori e scienziati amatoriali che, con il reddito di base, potrebbero dedicarsi ad attività che, oggi come oggi, non vengono per nulla stimolate”.

 

  • Non sono pochi i critici del reddito per tutti che motivano il proprio dissenso con il fatto che questa misura favorirebbe lo status quo, cristallizzerebbe i meccanismi che producono ingiustizia sociale e consoliderebbe le disparità sociali, perché sarebbe né più né meno che un regalo alle aziende.
  • Bregman, ad esempio, cita Marx, per il quale l’assistenza ai poveri è un modo per abbassare i salari, favorendo i datori di lavoro e scaricando i problemi sullo Stato.

 

  • Le aziende private hanno ovviamente interesse a ridurre i salari e, con il reddito di base incondizionato, l’impresa assumerebbe, ma riducendo il salario.
  • Le imprese potrebbero infatti offrire bassi salari e lavori precari, accettati dai lavoratori perché già percettori di reddito di base incondizionato.

 

  • Ricapitolando il reddito per tutti costerebbe davvero 360 miliardi di euro all’anno? No: perché bisogna considerare le spese per le misure contro la povertà già previste; perché il reddito oltre la soglia di povertà potrebbe essere tassato.

 

  • Al di là della fattibilità economica di una misura la radicale contro la povertà, come è possibile aggregare il consenso necessario ad una sua introduzione?
  • Bisogna partire da una premessa, cioè che i poveri non sono una classe sociale e che la loro capacità di incidere sulle decisioni collettive è molto scarsa, quindi non servono alla politica: è possibile massimizzare i profitti anche senza di loro e vincere le elezioni anche senza di loro.

 

  • Un’ottima idea alternativa sembra quella di Atkinson, che ha proposto a più riprese il Reddito di partecipazione.
  • Si tratterebbe di un reddito per tutti, ma con una aggiunta: per tutti coloro che partecipano. L’economista inglese intende la partecipazione in senso ampio e pensa all’apporto di un contributo sociale per chi è in età lavorativa, qualcosa da dare in cambio alla comunità da cui si riceve un sostegno.
  • Perché la partecipazione in questo caso, terrebbe conto dell’intera gamma di attività in cui una persona è impegnata: lavorare come dipendente o autonomo, a tempo pieno o parziale, ma anche completare l’istruzione, seguire i percorsi di formazione, cercare attivamente un lavoro, prendersi cura di bambini piccoli o di anziani non autosufficienti, perfino svolgere un’attività regolare di volontariato.