
Il volume presenta una rassegna di studi, ricerche, riflessioni prodotti, nel primo semestre successivo all’esordio della pandemia da Covid-19, da un gruppo di studiose e studiosi afferenti al Centro di Ricerche Educative su Infanzia e Famiglie (CREIF) del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna. Essi offrono specifici punti di vista su questo evento epocale che ha trasformato alcune debolezze e criticità, già endemiche, in emergenze non più ignorabili. Tutti i contributi sono accomunati dall’obiettivo di comprendere meglio l’impatto dell’emergenza sanitaria, ancora in essere, sulle relazioni familiari, sui servizi educativi per la prima infanzia, sull’attività scolastica, sul ruolo delle tecnologie per la comunicazione e sulla qualità della vita delle nuove generazioni. L‘ottica pedagogica, che caratterizza tutti i saggi di questo libro, pone lo sguardo “oltre l’emergenza” sia per capire quali processi di resilienza e cambiamento siano in atto, sia per definire gli “anticorpi pedagogici” utili per far fronte, in modo concreto, alle principali criticità e alle emergenze educative più evidenti suscitate dalla pandemia, su fronti cruciali come la pedagogia delle emozioni e delle relazioni di gruppo; il corpo e la natura; l’educazione al pensiero; il sostegno alle professioni educative; i legami educativi a distanza. Gli autori e le autrici che hanno contribuito a questo lavoro sono: M. Contini, A. Gigli, A. D’Antone, C. Lajus, D. Cino, R. Casadei, S. Demozzi, M. Scarpini, C. Borelli, A. Soriani, N. Chieregato, M. Ilardo, S. Ardizzoni, I. Bolognesi, M. Salinaro, A. Pileri e A. Zanchettin.
€ 26,00
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- Era prevedibile. Ma non l’avevamo previsto. Eravamo abituati a sentirci predire un futuro “a rischio”.
- Per la distruzione dell’equilibrio ecologico, come per le disuguaglianze sociali; per i milioni di persone costrette a fuggire dai loro Paesi insanguinati e terrorizzati, come per lo spreco del non necessario che finiva per inquinare l’acqua e il suolo di tutta la Madre Terra.
- Ma eravamo convinti che quelle predizioni non riguardassero le nostre vite.
- Gli effetti del loro realizzarsi ricadevano già sulle popolazioni che eravamo abituati a considerare “in difficoltà”: erano gli altri e le loro guerre, le inondazioni, le morti per fame e per malattie – curabili – dei loro bambini, richiamavano la nostra attenzione per i pochi minuti che i notiziari dedicavano loro.
- Qualche volta ci commuovevamo, ma dipendeva in genere dalla qualità filmica del servizio, dagli abili primi piani di un bambino sofferente o morto, oppure nel volto straziato di una madre.
- Ma poi si procedeva oltre. Non eravamo noi, non erano i nostri bambini.
- E per il futuro dei nostri, minacciato, sarebbero certamente sopraggiunte nuove scoperte a riparare i danni, anzi a prevenirlo.
- Con il denaro e la tecnica si potevano, ad esempio, costruire città sotterranee o grattacieli-giardino sempre più alti; con gli aerei velocissimi si poteva andare altrove per nuotare nelle acque ancora cristalline di isole remote.
- E per le malattie c’erano tutti i tipi possibili di farmaci, nonché i protocolli clinici e chirurgici dei centri sanitari di eccellenza.
- Di che preoccuparsi dunque?
- Della voce isolata di qualche scienziato o di una fanciulla con sindrome di Asperger? Meglio non pensarci e impegnare energie a guadagnare più denaro, per avere, per consumare, per sfruttare in tutti i modi più gratificanti le risorse della terra, lì, a nostra disposizione, nelle foreste, nei mari, nel sottosuolo.
- Un’ubriacatura che aveva cancellato il senso del limite, inscritto nella condizione umana e che si era portato via con sé la consapevolezza della nostra finitudine, il rispetto per la natura e la solidarietà e la pietas per gli altri umani.
- PRIMA DELLA PANDEMIA
- Nella nostra società i nostri bambini e bambine venivano adultizzati. Assimilati ai modelli dominanti degli adulti con i quali condividevano tempi frenetici sempre pieni di attività, privi di vuoto, di pause, di attese. Avevamo scoperto che non riuscivano ad avere più desideri: avevano tutto ancor prima di sentir nascere un desiderio, avevano troppo e troppo presto.
- Perché gli adulti per la prima volta nella storia – per fortuna – li volevano felici, i loro bambini, ma credevano che per renderli tali si dovessero eliminare la frustrazione e qualunque forma di sofferenza dalla loro vita e che fosse possibile.
- DURANTE LA PANDEMIA
- Tutti a casa!
- Una iniziale, confusa forma di euforia da vacanza generalizzata ha ceduto rapidamente il posto ha vissuti di ansia e perfino di angoscia, come che hanno spiegato gli studiosi: perché l’accadere di un evento spaventoso e non previsto – non spiegabile, non affrontabile – si traduce in trauma.
- Rispetto ai bambini era già difficile spiegare, peraltro, che contrariamente a quanto si diceva, il virus non era affatto “democratico” solo perché colpiva asiatici ed europei, ricchi e poveri, uomini e donne.
- Poi molte domande rivolte agli esperti, agli educatori e gli psicologi e psichiatri, erano su come intrattenere i bambini, ma erano domande generiche.
- Perché quali suggerimenti si potevano offrire su come intrattenere i bambini non sapendo che abitavano in tanti in 50 metri quadri o in pochi in una grande casa con giardino? Se in famiglia c’erano strumenti tecnologici o meno? Se le educatrici o insegnanti erano in grado di realizzare una qualche forma di didattica a distanza, che non fosse assegnare compiti da svolgere ai grandi e inviare una favola scritta ai più piccoli? Se non sapevi, soprattutto, quale atmosfera affettiva e relazionale ci fosse nelle loro case nei rapporti fra i loro genitori e con i bambini? Se c’era abbastanza serenità, desiderio di stare insieme, piacere di giocare, parlare e condividere un silenzio affettuoso tra grandi, e tra grandi e piccoli? O se c’erano tensioni litigi violenze fisiche ed emozionali?
- Molte proteste sul lockdown partivano proprio dei genitori: protestavano perché figli non potevano tornare al nido a scuola, di cui avvertivano tanto la mancanza, loro, i genitori.
- DOPO LA PANDEMIA
- Molti hanno “alzato la loro voce” chiedendo una revisione radicale della scala dei valori che non veda sempre e solo il profitto al primo posto.
- Dobbiamo riflettere sui modelli del prima cui si vuole tornare, alle giornate dei piccoli trascorse in gran parte al nido e poi con nonni o il baby-sitter, fino all’incontro serale con i genitori affannati dal lavoro, stressati dalla fatica.
- ANALISI
- Le crisi (sanitaria, economica, sociale e ambientale) stanno progredendo e oggi si registra un generalizzato senso di stanchezza, l’aumento di fenomeni di disagio psichico, di conflittualità sociale, di perdita di ottimismo.
- Potremmo parlare di catastrofe mondiale, un evento inatteso, un colpo di scena di ampia portata che cambia radicalmente la quotidianità e che, per un lungo periodo di tempo, altera le relazioni sociali, le abitudini consolidate, le sicurezze, incidendo profondamente sugli stati emotivi.
- C’è il bisogno di investimenti per migliorare l’edilizia scolastica e le aree verdi fruibili; la predisposizione di una maggiore presenza di personale educativo e ausiliario (riduzione del rapporto numerico adulto/bambino).
- In secondo tema emergente e quello delle esigenze delle famiglie, che sono prevalentemente quelli di salvaguardare la salute, di affidare i figli per poter svolgere attività lavorative, di non dover investire ulteriori risorse economiche per permettere ai figli di accedere a proposte educative di qualità e integrarli fin da piccoli in comunità educanti.
- La letteratura specialistica (pedagogica dell’emergenza) sul tema delle conseguenze sui giovani e giovanissimi coinvolti in situazioni catastrofiche, o che comunque generano forti stress, indica la possibilità che si manifestino sintomi psicosomatici oppure che si originino distorsioni interpretative e altri meccanismi di estraneazione per sfuggire al realtà, l’alternarsi di comportamenti di apatia/iperattivazione, tendenza all’isolamento, difficoltà di concentrazione, di memoria, o disturbi del sonno, calo delle prestazioni scolastiche.
- Bambini e bambine, ragazzi e ragazze, sono stati e sono ancora sottoposti a una inevitabile maggior esposizione mediatica; hanno subito una deprivazione motoria; hanno interrotto (salvo i casi più fortunati) il rapporto con la natura e con gli spazi aperti; hanno vissuto una chiusura relazionale e un distacco dagli ambienti di socializzazione con i pari e con figure significative (come insegnanti e educatori); hanno assorbito vissuti ansiogeni, di paura e in certi casi di angoscia; hanno “incontrato la morte” anche solo attraverso le immagini dei media; in molti casi hanno subito le conseguenze dell’aumento delle disuguaglianze sociali e i disagi del “digital divide”.
- Altro elemento di rischio e passivizzazione: in tutte le fasi della pandemia, bambini e bambine e adolescenti sono stati posti nella condizione di “spettatori muti”, mentre il mondo adulto prendeva decisioni che spesso negavano i loro interessi.
- Questa mancata considerazione, oltre che rischiare di incrementare la sfiducia dei giovani nel mondo adulto (incapace di avere cura del loro futuro), li ha relegati nel ruolo di esecutori, di bravi ragazzi che rispettano le regole: non sono stati ascoltati, non sono stati coinvolti, non sono state attivate azioni educative in grado di farli sentire parte di una comunità a cui poter contribuire con tutta l’energia, la creatività, l’innovazione di cui sono potenzialmente portatori.
- In sintesi, i diritti che dovremmo garantire, ancor di più nell’emergenza, sono: socializzare in modo sano; sperimentare fare esperienze stimolanti; ridare centralità alla dimensione corporea; sviluppare relazioni significative con adulti e pari; giocare liberamente e apprendere dall’esperienza fuori da logiche di performance; stare all’aria aperta; essere accompagnati per trovare risposte alle grandi domande dell’esistenza; vivere in ambienti sereni che sappiano accogliere (non negare o camuffare le emozioni); avere sostegno dalla società se la famiglia non è funzionale; essere educati a una coscienza ecologica e a una visione del futuro maggiormente sostenibile.
- Per i genitori contemporanei mantenere un equilibrio relazionale, conciliare le esigenze della vita lavorativa con quelle del lavoro di cura familiare, condividere equamente il carico di responsabilità tra partner e funzionare bene dal punto di vista educativo, è veramente una scommessa quotidiana.
- Ulteriori elementi di fondamentale importanza in un quadro di crisi, sono le risorse sociali: quelle di cui le famiglie possono usufruire nell’ambito della loro comunità di appartenenza, delle reti sociali informali e formali, tra cui servizi sociali, sanitari e culturali.
- Ci sono le famiglie indigenti in cui, l’obbligo di isolarsi in casa propria, ha aggravato le condizioni di indigenza, ha reso più difficile il lavoro di sostegno educativo alle famiglie e alla genitorialità.
- Cosa ha significato per le famiglie più svantaggiate attraversare questo periodo? Come hanno affrontato la vita confinata in casa con i figli? Che effetto ha avuto il lockdown sulla loro percezione della genitorialità? Quali sono stati i bisogni e risorse emersi da questa esperienza?
- Il rapporto di Save the Children stabilisce che «all’aggravarsi della deprivazione materiale dovuta all’emergenza Covid, si aggiunge la deprivazione educativa e culturale dei bambini adolescenti, dovuta alla prolungata chiusura delle scuole e degli spazi educativi della comunità e a confinamento a casa».
- Perché è proprio là, nel vicinato, che (si) può trovare appoggio affidandosi al principio di solidarietà e di inclusione che caratterizza una comunità educante. Il dispositivo di affiancamento familiare si inserisce in questa proposta di promozione di una cultura della solidarietà, dell’inclusione e della partecipazione attiva.
- Complessivamente in un susseguirsi di corsi e ricorsi storici che hanno coinvolto ogni medium, l’utilizzo ai fini didattici e educativi e stato storicamente incoraggiato e accettato, laddove l’uso dei media durante il tempo libero veniva sanzionato socialmente. Analogamente, i genitori sono sempre stati individuati quali principali soggetti responsabili di tale utilizzo, facendo ricadere su di loro il fardello di un’educazione ai media adeguatamente in linea con le aspettative sociali.
- Qui sotto a una delle prime contraddizioni: ovviamente quella di demarcare ciò che è considerato lecito (usare la tecnologia per studiare) da ciò che è considerato illecito (ossia usa tecnologia per svagarsi).
- Si nega, in questo modo, l’apporto di un utilizzo più libero e meno formalizzato dei media in termini di acquisizione di competenze digitali informali.
- Non è tanto il tempo speso di fronte a uno schermo, quanto la qualità dei contenuti!
- Per quale motivo la competizione, il potere e il successo sono diventati i fattori sempre più dominanti nel progetto esistenziale umano, compromettendo libertà ed equilibrio di pensiero, azione e sentimento?
- C’è una crisi educativa in generale familiare, sociale e a volte anche scolastica. Quando ci riferiamo alla realtà della crisi educativa, piuttosto che a quella economica, sociale, ambientale dovremmo comprendere bene che queste sono tutte sfaccettature di un’unica realtà.
- Per molti il periodo del cosiddetto lockdown a significato il confinamento nelle pareti domestiche. Non è da ritenere scontato che questo possa avere significato agio, benessere, quiete. Tutt’altro. Sono non poche le realtà di criticità, disagio, sofferenza e violenza.
- Ma anche in condizioni non già compromesse, si sono evidenziate manifestazioni di frustrazione, insofferenza e malessere, come se la casa non potesse vestire le sembianze di un luogo di appartenenza intimo e accogliente.
- Non tutte le famiglie, infatti, dispongono di una velocità di connessione internet adeguata e di contratto a forfait: alcuni studenti, specialmente quelli provenienti da famiglie che si trovano in condizioni economicamente svantaggiate, sono costretti a collegarsi attraverso rete mobile, con evidenti limiti di qualità e di tempi.
- Se – come sostengono le insegnanti – si pensa che la scuola si debba limitare a insegnare le nozioni fondamentali ma lasciando la gestione del resto alle famiglie, se l’attenzione si rivolge alla quantità di nozioni e all’importanza del profitto dei ragazzi, se per i genitori devi fare lezione altrimenti perdi tempo, allora si profila una più marcata separazione fa la scuola – depositaria ed erogatrice del sapere e del “saper fare” – e la famiglia, responsabile dell’educazione al “saper essere”.
- Questo è il percepito di molti insegnanti nella scuola primaria e secondaria ascoltate, le quali sentono spesso le famiglie lontane dall’obiettivo di condivisione di obiettivi educativi non meramente istruttivi.
- Serve dunque adoperarsi per creare e co-costruire cultura di d’infanzia e di educazione, lavorare di più per una diversa e rappresentazione della scuola e dei servizi. Occorrono più spazi e più occasioni per confrontarsi con le famiglie in cui non si parli solo di aspetti organizzativi.
- Bisogna ricreare degli spazi bisogna recuperare e prendere al volo questa occasione per realizzare una comunità partecipante, legata a un sentimento di responsabilità collettiva, solo se gli spazi di condivisione conservano la loro apertura e la loro visibilità sociale.
- La letteratura specializzata ci racconta di adulti incapaci di prendersi cura dei più giovani; di adulti che tradiscono i loro giovani non riuscendo più a garantire nemmeno la promessa di un possibile nuovo futuro.
- Ci sono poi loro, i più giovani, “orfani di autorità” e di un futuro migliore. Attualmente, anche orfani di spazi, luoghi e tempi a loro dedicati.
- Quindi il rischio è che un giovane o questa generazione scivoli nella rinuncia progressiva alla partecipazione della vita pubblica e sociale e all’avvicinamento a realtà aggregative, talvolta violente e ideologiche.
- La più grande necessità dei giovani (come sostengo da anni) è quella di possedere un rifugio, una zona sicura e simile al nido familiare.
- Il primo rischio riguarda la rinuncia sempre più definitiva al cambiamento che trova conforto nell’illusione della casualità degli eventi (abbandonando il proprio destino ai petali di una margherita).
- Il secondo rischio riguarda la propagazione di domande inascoltate e destinate all’isolamento perché scomode e faticose.
- Si evidenzia la necessità di riflettere ancora una volta sugli scopi della scuola, a cui è richiesto di mettersi in ascolto degli studenti, dei loro bisogni, delle loro potenzialità e di verificare che ciascun alunno stia ricevendo il sostegno e l’intervento necessario.
- Per educare un bambino occorre un villaggio!