
Nel 1971 a Boston veniva pubblicato un libro dal titolo “Noi e il nostro corpo” che ha venduto più di 4 milioni di copie nel mondo ed è stato tradotto in trentatré lingue. Per molte generazioni fu un testo rivoluzionario: raccontava, per la prima volta, la verità sui corpi delle donne e superava e metteva in discussione il sapere medico intorno alla sessualità femminile. Era stato scritto, soprattutto, da donne per donne.
Nella sua prefazione si legge “Presentiamo un libro che si presta a molti usi: alla lettura individuale, alla discussione in gruppo, all’organizzazione di un corso. Il libro contiene un ingente materiale sulla donna e il suo corpo, che non è reperibile altrove e che abbiamo cercato di presentare in modo nuovo: sincero, umano, immediato. Vogliamo comunicare alle altre donne la consapevolezza e la forza che ci provengono da questo modo di pensare e vogliamo mettere in comune i sentimenti che nutriamo l’una per l’altra, sentimenti di amore e di sostegno reciproco, che dimostrano come sia possibile aiutarci a crescere e a realizzarci.” […]
“Probabilmente vi interessa sapere chi siamo. Siamo donne bianche di età compresa tra i 24 e i 40 anni, la maggior parte di noi proviene dal ceto medio e ha frequentato una scuola superiore. Fra noi vi sono donne sposate, separate, nubili. Siamo bianche della classe media e come tali possiamo solo descrivere ciò che è stata la vita per noi. Ma sappiamo che altre donne, povere e di colore, hanno sofferto molto più di noi a causa della mancanza di informazione e delle discriminazioni di cui parliamo in questo libro. In un certo senso, studiare la nostra condizione di donne dall’interno, ci ha consentito di superare le barriere create dalla razza, dal colore della pelle, dal reddito e dalla classe sociale, e di provare un senso di identità con tutte le donne. […]
“Vi invitiamo a lavorare per il cambiamento in qualsiasi modo riteniate giusto.”
L’obiettivo comune era dare centralità al tema dell’autodeterminazione delle donne sul loro corpo, principalmente per queste ragioni:
1. quello sul proprio corpo è un sapere fondamentale che ha ripercussioni anche nel riequilibrio delle disuguaglianze di genere.
“Per noi, educazione del corpo è educazione psicologica: dal nostro corpo noi muoviamo verso il mondo. L’ignoranza, l’insicurezza – nella peggiore delle ipotesi, la vergogna – della nostra identità fisica ci alienavano e ci impedivano di raggiungere la nostra completezza.” (pag. 13),
2. bisogna dare spazio alle esperienze personali come pratica per comprendere il proprio corpo, al di là dei dati che gli esperti possono fornire.
“Ma una volta appreso ciò che gli esperti avevano da dirci, scoprimmo che avevamo ancora molto da imparare l’una dall’altra.” (pag. 11),
3. combattere la storica mancanza di conoscenza di sé attraverso l’apprendimento cooperativo, utile per accogliere criticamente i pareri degli esperti e per avere maggiore possibilità di fare, in futuro, scelte consapevoli.
“Imparare a conoscere il nostro corpo in questo modo, cambiò radicalmente la nostra vita e noi stesse. È splendido studiare quando ciò che proviamo emotivamente e ciò che impariamo sono due esperienze parallele, strettamente legate, che si integrano a vicenda. Scoprimmo che non avremmo mai imparato se ci fossimo sentite come semplici recipienti che dovevano accogliere un certo numero di nozioni. E questo modo di studiare ci è utile ancora oggi, in ogni campo della nostra esperienza.” (pag. 12).
Le origini di questo classico femminista risalgono ad un seminario dal titolo “Le donne e il loro corpo” tenutosi all’Emmanuel College di Cambridge, nel 1969.
Alcune partecipanti, nei mesi successivi, formarono un gruppo continuando a condividere le loro esperienze, la loro relazione coi medici e col sapere medico e la loro frustrazione per quanto poco conoscevano del funzionamento dei loro corpi (ad esempio, chi sapeva, tra loro, che la clitoride, contrariamente al pensiero freudiano, medico e popolare, fosse il principale organo del piacere femminile? “Dovremmo sapere queste cose. Questi sono i nostri corpi.”).
Nel 1970 questo scambio diede vita ad un libro (193 pagine al costo di 75 centesimi di dollaro) contenente informazioni scientifiche e sociali, illustrazioni esplicative e molte storie di donne raccontate in prima persona, seguendo la tradizionale pratica femminista del partire dall’esperienza personale.
Nel 1971, col semplice passaparola, ne vennero vendute 225 mila copie a 30 centesimi l’una.
Nel 1973 venne pubblicata la prima edizione commerciale dalla casa editrice Simon&Schuster attirata dal successo riscosso da “Noi e il nostro corpo” negli anni precedenti. Le autrici, dopo una lunga discussione, spinte dal desiderio di raggiungere un pubblico più ampio, accettarono di consegnare il loro lavoro ad una casa editrice, a patto di mantenerne il controllo editoriale.
Diciotto capitoli, 480 pagine, svariati argomenti tra i quali: riproduzione e sessualità, omossessualità, salute e assistenza sanitaria, malattie veneree, violenza carnale, autodifesa, metodi contraccettivi, aborto, parto e maternità, sterilità, menopausa.
Nel 2011 è stata pubblicata la nona e ultima edizione cartacea ma gli aggiornamenti, la diffusione del libro in altri paesi e i relativi adattamenti in base ai contesti nazionali, proseguono on line.
Nel primo capitolo intitolato Il senso della nostra identità in evoluzione le autrici discutono sulle motivazioni della scelta di cimentarsi nella stesura di questo libro-manuale:
“Trovarci assieme a lavorare per cambiare la nostra vita, all’inizio ci ha spaventate perché significava ammettere che non eravamo completamente soddisfatte. Sapevamo che avremmo dovuto fare un serio esame di noi stesse e avevamo paura dell’ignoto. […] Ci riunivamo con la speranza di riuscire a sentirci persone più complete. […] Parlammo delle nostre esperienze di vita insistendo sul ruolo femminile […] per creare una base da cui partire per cambiare il modo di considerare e percepire noi stesse”.
Sostengono che, fin dall’inizio, si accorsero che “la sensazione di valere meno degli uomini era profondamente radicata” in loro: “Abbiamo vissuto come se ci fosse qualcosa di intrinsecamente inferiore in noi.”
Da questa amara consapevolezza (e dalla rabbia che ne derivava) lavorarono per porre le basi per una nuova coscienza di ciò che significa essere donne.
“Ci esaltava scoprire che quello che credevamo un senso di inferiorità personale, di fatto era un’opinione comune a tutte. Si trattava di un problema culturale più vasto.”
“In famiglia ho ricevuto un’educazione piuttosto ambigua. Da un lato mi dicevano che ero importante e valevo tanto quanto gli uomini, dall’altra che non era vero. Mettevano da parte il denaro perché mio fratello andasse all’università, ma non per me.”
“Volevo fare la maestra soprattutto perché avevo odiato andare alle elementari e volevo fare meglio: sebbene lo ritenessi un lavoro importante, a poco a poco, imparai a non apprezzarlo perché nella nostra società era considerato di second’ordine.”
“Mi piace allevare i bambini e curare la casa, ma ho sempre avuto l’impressione che non fosse importante. Ho moltissime qualità. Mi piace dipingere, ballare e sono sensibile ai bisogni delle persone, ma ogni volta che faccio qualcosa penso che chiunque potrebbe farlo.”
Chiarirono che, sebbene fossero essenziali per la vita, alle attività percepite per lo più come femminili non veniva data la stessa importanza delle attività che coinvolgevano in maggioranza uomini. “Cominciammo a valutare diversamente le nostre occupazioni […] per ottenere il riconoscimento di ciò che facciamo.”
Miriam Hawley, organizzatrice del seminario da cui è nato il libro, ha dichiarato:
“Non avere voce in capitolo ci ha frustrate e fatte arrabbiare. Non avevamo le informazioni di cui avevamo bisogno, quindi abbiamo deciso di trovarle da sole.”.
“Noi e il nostro corpo”, un libro scritto da donne per donne, mette in discussione la medicalizzazione sui corpi femminili e si basa sulla presa di coscienza che anche la medicina, fin dalle sue origini, ha avuto un’impostazione androcentrica.
Le donne, ancora oggi, restano sottorappresentate nella ricerca biomedica e nella sperimentazione, che continuano a fondarsi sul tacito presupposto che donne e uomini siano fisiologicamente simili in tutto.
Questo falso presupposto ha avuto enormi conseguenze sulla diagnosi e il trattamento delle malattie, ma ha avuto conseguenze che sono andate ben oltre tali ambiti.
Uno degli stereotipi più radicati sul femminile e sul maschile è quello che associa le donne all’irrazionalità e al disordine, e gli uomini alla razionalità e alla stabilità. E nasce dall’aver concatenato, fin dall’inizio, le propensioni mentali delle donne alla loro fisiologia riproduttiva. Basti pensare all’origine del termine “isteria”, riconducibile alla parola che nella Grecia antica indicava l’utero, Hustéra: già Platone descriveva l’utero come una bestia nel corpo delle donne, che si placa solamente quando viene “riempito”. La visione platonica dell’utero femminile come un animale vagante, capace di scatenare nella donna crisi isteriche che conducevano sino alla morte, permane identica anche nei testi di medicina del Settecento e persiste oggi in diffusi pregiudizi.
“Ci hanno chiesto perché questo libro parli esclusivamente delle donne e perché abbiamo limitato il nostro corso alle sole donne. Rispondiamo che siamo donne e, in quanto tali, non ci consideriamo esperte dei problemi degli uomini, mentre gli uomini si sono sempre ritenuti autorizzati a trattare i nostri problemi. Non intendiamo dire che la maggior parte degli uomini sono oggi meno alienati dal loro corpo di quanto lo siano le donne. Ma sappiamo che spetta agli uomini fare questo lavoro e parlare delle loro esperienze di sé, come abbiamo fatto noi. Ci piacerebbe leggere un libro sugli uomini e sul loro corpo.” (pag. 10).
È, insomma, un libro interessante da leggere, da consultare quando alcune curiosità o alcuni problemi si affacciano nella nostra vita, da suggerire alle amiche in quanto rappresenta un’importante lettura per ogni donna, giovane e meno giovane: resta infatti un prezioso strumento per scoprire il proprio corpo e le sue necessità, presupposto indispensabile per arrivare alla piena consapevolezza dell’essere donne e, speriamo, alla gioia di essere tali.