
La pandemia da Covid-19 non va intesa come un evento straordinario, finito il quale possiamo tutti tornare alla normalità. Al contrario, è espressione di quella normalità e delle patologie che contiene. Nelle sue caratteristiche, che la distinguono da quelle del passato, è frutto di questi tempi e di questi contesti sociali. Non è un mero rischio naturale, bensì un rischio prodotto, interno al rapporto che abbiamo costruito tra uomo e natura e tra uomo e uomo. Se vogliamo davvero affrontarlo, ed evitare ricadute future, ciò che è in questione è il tipo di società nella quale vogliamo vivere.
- La struttura geopolitica del mondo si è completamente ridisegnata, il capitalismo si è nuovamente ristrutturato assumendo le vesti di un neoliberismo aggressivo. Il lavoro, la famiglia, la scuola, i partiti, la tecnologia sono profondamente cambiati. Le disuguaglianze sociali sono andate sempre più aumentando. Ed è cambiata profondamente, di fatto, la natura stessa della nostra vita sociale e individuale.
- Il mondo è cambiato rispetto ai secoli recenti e siamo davanti ad un nuovo mondo. Non necessariamente migliore. Quest’ultimo secolo ha lasciato dentro di noi soprattutto dei nuovi modi di pensare, più che nella realtà.
- Bisogna fare in modo che dopo la riapertura non si ritorni all’ordinario e a quella normalità che la pandemia ha scosso. Spero definitivamente. Insisto, l’obiettivo non può essere quello di tornare semplicemente al mondo precedente pre-pandemia, al mondo del post. Sarebbe estremamente pericoloso.
REALTÀ E METAFORA
- Proviamo ad esprimere la dialettica sociale tra cambiamento e stabilità con la metafora del fiume. L’idea che da un lato l’acqua scorre dentro una forma, il letto del fiume. Dall’altra quest’ultima cambia più o meno impercettibilmente a causa dello scorrere dell’acqua. C’è stabilità e cambiamento nello stesso tempo.
- Il cambiamento è diventato sempre più veloce e perché c’è qualcuno interessato a farsi che non si veda. Nella modernità dei secoli passati, quella del capitalismo, del secolo diciannovesimo e ventesimo, lo sfruttamento era più visibile, i rapporti di produzione mostravano direttamente, anche se i modi via via diversi una realtà per lo meno eticamente condannabile.
- La capacità del capitalismo neoliberista di trasformarsi, producendo dinamiche di sfruttamento ancor più radicali e pervasive, compare nella sua forma compiuta proprio dentro la modernità liquida. Si tratta di una dimensione che non solo è fuoriuscita dalla fabbrica e ha invaso il territorio ad essa circostante. Non solo si è appropriata di tutto il mondo, diventando realmente globale. Ma coinvolge tutte le dimensioni della nostra vita sociale, riguarda la nostra nozione di tempo e di spazio, la nostra quotidianità, il potere, l’amore, la famiglia, la politica. Coinvolge sempre più l’ambiente complessivo nel quale sono collocate le nostre esistenze, quello sociale e quello naturale.
- La storia umana diventa così una corsa frenetica verso qualcosa che non si conosce e il senso di quella frenetica corsa non sta in un obiettivo da raggiungere, ma nel correre stesso. Tutto ciò che appartiene al passato, svapora viene cancellato, dissolto.
- Occorrono la forza e il coraggio di liberarsi dalle illusioni e fare della vita insieme agli altri, l’oggetto della propria attività teorica e pratica.
- Finché l’uomo lavora, detto banalmente, produce oggetti, la sua auto realizzazione sarà sempre incompleta, parziale perché egli sarà costretto a produrre, cioè ad esercitare la sua potenzialmente libera attività dentro la costruzione di rapporti sociali di produzione. Ben definiti. La schiavitù antica, il servaggio medioevale e soprattutto il lavoro salariato moderno, sono diverse espressioni storiche di quest’asservimento al lavoro costretto.
- La tecnologia ha in tutto ciò una grande forza di liberazione, perché proprio la tecnologia moderna – che allora colpiva quanto oggi per le sue enormi potenzialità – rende possibile la liberazione dal lavoro. Si badi bene dal lavoro non del
- Occorre che l’uomo sia in grado di prendere in mano consapevolmente il proprio destino.
- Weber è del tutto convinto che non ci libereremo mai delle nostre illusioni perché esse da esse ci nutriamo.
- I miti, le religioni, l’arte, l’infinita e complessa trama di costumi e di abitudini di cui sono intessute tutte le società. L’idea di progresso è essa stessa un’illusione. Quanto la religione e i miti.
- La nostra non è una società senza valori, ma una nelle quali ce ne sono troppi.
- Non possiamo vivere senza dare un senso a noi stessi, agli altri, al mondo; dall’altro si tratta di un compito soggettivo affidato ad ognuno di noi.
- I nostri antenati vivevano un mondo incantato nel quale vita e senso erano tutt’uno. Nessuno si faceva troppe domande e tutto era semplice e chiaro, le spiegazioni stavano dentro. Le cose stesse apparivano nello splendore delle narrazioni religiose, dei miti delle fiabe, del senso condiviso.
- L’oggetto, qualsiasi oggetto, sia esso una roncola, una zappa, una penna, un mestolo, eccetera per gli antichi, porta con sé il suo senso, perché il fine di cui e mezzo è interno alla sua forma e la sua forma è espressione del sapere pratico di chi lo usa. L’oggetto moderno ha perso questa relazione diretta con la prassi.
- In una vignetta c’era questa immagine dell’uomo sull’aereo che dice “finalmente ho il mio aereo nuovo, ma non so dove andare”. Abbiamo qui una netta separazione tra oggetto e uso e l’oggetto diventa indipendente dal suo uso. Chi di noi ha effettivamente bisogno degli oggetti che possiede. Qual è il loro uso reale? Quale il loro senso?
- Paradossalmente, non padroneggiamo neppure i nostri strumenti. Se in questo momento mi si spegnesse, rimedio abilmente, il computer, potrei solo dopo aver terribilmente a lungo imprecato, rivolgermi ad un tecnico.
- Chiunque di noi viaggi in tram non ha la minima idea, a meno che non sia un fisico specializzato di come la vettura riesca a mettersi in moto. Il selvaggio, invece, ha una conoscenza dei propri utensili incomparabilmente migliore (VEDI NON CI RESTA CHE PIANGERE!)
- La spinta al cambiamento diventa sempre più veloce e sempre più senza senso.
- La modernità ha quindi nel suo DNA la velocità, la mutevolezza, la quantità, la contraddizione, il transitorio, il fuggevole, il contingente. Per questo ogni imprevisto diventa un’emergenza.
- L’epoca delle rivoluzioni sistemiche è tramontata, perché non esistono più roccaforti del potere da espugnare.
- Il nuovo sistema si afferma attraverso il dispiegamento delle nostre libertà, anzi facendo di questa libertà la sua ideologia cardine. Questa accresciuta libertà persegue un modello e acquista un carattere specifico. E la libertà della deregolamentazione, della flessibilità, della fluidità.
- Rimangono solo gli individui nella loro pura individualità, anch’essi privatizzati, ognuno dei quali ha il compito di tessere individualmente la trama e l’ordito di quelle regolamentazioni sociali apparentemente svanite. Famiglia, scuola, lavoro, tempo libero, politica, affetti. Ognuno è solo dentro il suo mondo, con l’onere di dover perlopiù costruire da sé. Così anche la responsabilità del fallimento o del successo ricade solo sulle spalle dell’individuo.
- Essere infinitamente adattabili. Questa è la nuova libertà nella società liquida, adattabili nel mondo del lavoro, dove il sistema chiede flessibilità, ma anche nella vita di tutti i giorni, nella quale i ruoli sociali sono continuamente messi alla prova. Così ognuno di noi si deve reinventare come padre e madre, come figlio e figlia, come amante e amico, come cittadino e consumatore.
- Così la nostra intera identità diventa compito quotidiano che ci dobbiamo imporre ad ogni nostro piccolo passo nel nome di una autonomia che gira a vuoto. Quando tutto ci viene presentato come possibile, niente diventa reale.
- Ciò che si tende a rendere impossibile è il passaggio da scelte meramente individuali ad un qualsiasi progetto collettivo, qualsiasi rete densa e fitta di legami sociali, e in particolare una rete profondamente radicata nel territorio è un ostacolo da eliminare.
- Dentro questa totale privatizzazione – che non è solo economica ma soprattutto delle vite, esistenziale – ciò che maggiormente viene in sofferenza è il pubblico, l’idea di comunità, dello stare insieme. I nostri problemi individuali ma comuni non sono aggregabili in una causa comune. Vengono affrontati e vissuti perlopiù individualmente o peggio, contro gli altri individui. Il nemico più grande può diventare l’indifferenza, il progressivo sciogliersi dei vincoli che ci legano agli altri all’interno di una dimensione di reciproca responsabilità. Un individuo così fatto è sempre meno cittadino ed è sempre più incapace di connettere benessere soggettivo e collettivo.
- Marx ha un’idea di sviluppo. Lo sviluppo è sviluppo dell’uomo, della sua natura complessiva che lo abbiamo visto solo parzialmente, si concretizza nella produzione, nel lavoro e nel consumo.
- L’impatto della tecnica è considerato nei suoi aspetti intrinsecamente tecnologici, neutri, quando al contrario è soprattutto sociale e umano. I media digitali, per fare un esempio sono, è vero, una rivoluzione tecnologica ed è stupido negarlo, ma sono soprattutto una rivoluzione sociale ed umana che cambia la natura delle nostre relazioni.
- Con il passare dei secoli l’ambiente umano è andato espandendosi al punto che oggi di fatto, coincide quasi con la natura.
- Sempre meno, esiste una natura fuori dal nostro mondo, dal mondo che abbiamo creato con il nostro intervento: la natura è diventata sempre più ambiente umano fatto a nostra immagine.
- Non c’è nessuno scarto, insomma, tra consumo sfrenato delle risorse e aumento della povertà mondiale, perché il primo causa il secondo.
- La questione ambientale, insomma, è una questione sociale, risolviamo il problema della povertà e avremo forse un ambiente migliore e viceversa. Questa semplice realtà è nascosta dalle forze del capitalismo, dei quali presentano i rischi ambientali – laddove non riescano a sottostimarli o financo a negarli – come sottoprodotto di un bene enormemente maggiore.
- Per i nostri figli vogliamo un ambiente migliore o un’ulteriore aumento dei consumi?
- La natura non ci teme, non dobbiamo essere così presuntuosi da pensare di metterla realmente a rischio: basta un nostro piccolissimo passo indietro ed ecco che si riappropria di se stessa. Ciò che è a rischio e la nostra esistenza, i nostri ambienti umani. Dobbiamo decidere prima che sia davvero tardi, per noi, in quale mondo umano vogliamo vivere.
FLESSIBILITÀ ED ADATTABILITÀ
- Il fatto è che questo tipo di flessibilità non è una opzione, ma perlopiù imposta sotto forma di nuova libertà.
- L’operaio fordista – in sintesi quello della catena di montaggio – entrava in fabbrica da giovane e ne usciva da anziano. Tutto il suo mondo ruotava intorno al suo lavoro e la centralità di quest’ultimo gli consentiva di costruire intorno adesso la gran parte delle sue esperienze di vita. Conosceva i suoi compagni di lavoro, partecipava a determinate relazioni sindacali, viveva il vicinato di quartiere, conosceva i genitori degli amici dei suoi figli, sapeva che suo figlio avrebbe più o meno fatto il suo lavoro. La flessibilità implica la rottura di questo ordine.
- La flessibilità porta con sé l’illusione della liberazione del lavoro. Non più legati alla stabilità del lavoro in fabbrica, gli individui sono liberi di autorealizzarsi, cercando di volta in volta le opportunità che più di altre possono realizzare le loro aspettative e i loro desiderata.
- Rico (dal romanzo) dopo la laurea in 14 anni cambia lavoro ben quattro volte. Il padre Enrico, invece, aveva svolto per tutta la vita il medesimo lavoro, umile e pesante, per nulla gratificante: fare le pulizie in un grande palazzo.
- Paradossalmente il padre si sente più realizzato del figlio, perché l’auto-realizzazione, diversamente da ciò che pensa l’ideologia neo liberista dominante, non è fatta solo da successo e denaro, ma anche di relazioni gratificanti, di riconoscimento, di autostima.
- In quest’ultimo mondo cercare garanzie è un’onta, significa aver perso in partenza, aver rinunciato.
- Viviamo in un mondo sempre instabile, anche senza che avvengano disastri particolari, l’incertezza è diventata la nostra atmosfera quotidiana.
ACCELERAZIONE E FINE DEL TEMPO
- Insomma, la velocità in sé potrebbe non essere importante: ciò che importa è la capacità di avere una marcia in più, di distanziare gli altri.
- Uno dei principali effetti di questi processi è la quasi totale cancellazione dello spazio. Esso viene contratto e ridotto dalla contrazione del tempo.
- Nella nostra realtà di tutti i giorni, non facciamo in tempo ad adeguarci che tutto è già cambiato, atteggiamenti, valori, stili di vita, mode, ambienti sociali, oggetti, eccetera. Il processo di evaporazione si è accelerato. Viviamo in un mondo a cui è impossibile adattarsi. Che ci rende dei perenni disadattati.
- Questo secondo tipo di accelerazione è strettamente collegato ai mutamenti che investono famiglia e lavoro.
- L’accelerazione è tale per cui la mancanza di tempo è ormai un’esperienza condivisa. Il tempo è diventato qualcosa che sfugge, di cui siamo sempre meno padroni. È un bene raro e prezioso, una risorsa scarsa che si consuma facilmente e rapidamente.
- Inoltre, ognuna delle donne intervistate cerca una soluzione individuale alla mancanza di tempo, poiché quest’ultima viene vissuta come una questione privata e non collettiva, prodotta socialmente. Accelerare significa perciò organizzarsi, facendo della propria giornata un contenitore senza buchi e senza tempi morti.
- Il cosiddetto tempo libero è tutt’altro che libero. Anch’esso è un contenitore del tutto occupato e pieno: bisogna portare i figli in palestra, a calcio o a fare musica, o quant’altro. Occorre risolvere i piccoli problemi quotidiani che è impossibile cancellare, eccetera eccetera. Inoltre, sui possibili e rari vuoti, incombe la TV.
- Noia e ozio, infatti, sono peccati capitali di un mondo accelerato.
- Se i primi telefoni cellulari erano solo uno strumento per comunicare, tra un po’ potranno anche lavare i panni. Questa loro evoluzione di fatto non è stata voluta e richiesta da nessuno.
- La moda dei selfie è stata una nostra richiesta o una moda “imposta”?
- La competizione capitalistica, in effetti, nel mondo del neoliberismo ha del tutto dimenticato l’obiettivo di far fronte ad un mondo di bisogni e desideri, siano essi più o meno indotti.
AUTONOMIA SENZA INDIPENDENZA
- La vita di chi ci ha preceduti è stata totalmente diversa dalla nostra, da non riuscire più nemmeno a comprenderla. E allo stesso tempo nessuno riesce ad immaginare come sarà il mondo dei nostri figli.
- I giovani hanno sempre avuto, storicamente, un ruolo innovativo.
- La loro collocazione di soggetti portatori del cambiamento li fa apparire trasgressivi in quanto sostenitore di nuovi consumi, di nuovi stili di vita, di nuovo i comportamenti che appaiono moderni. Trasgredendo però preparano allo stesso tempo il terreno per l’affermazione del nuovo.
- Oggi si deve essere giovani a tutte le età. Dove sono finiti oggi i giovani? Esistono ancora? In effetti, i confini generazionali con il passare dei decenni sembrano essere saltati. Ricordo le prime ricerche sociologiche sui giovani fatte negli anni 80: il campione comprendeva soggetti tra 16 e 24 anni. Prima non si era ancora giovani ma adolescenti, dopo si era adulti o quasi. Con il passare degli anni il campione si è andato progressivamente allargando, così che oggi una ricerca dovrebbe tenere in considerazione ragazzi, almeno tra i 14 e i 36 anni. Ma pensandoci bene un quarantenne, non è ancora giovane. E chi si azzarderebbe a dire ad un cinquantenne, ma forse anche un sessantenne che è un vecchio?
- I giovani sono stati liquefatti e la giovinezza non sembra più esistere, avere i propri confini e la propria identità.
- Il nostro mondo ha tradito i giovani anche in un’altra direzione che riguarda la questione dell’autonomia. Vivono una autonomia senza indipendenza. Per la mia generazione la distinzione non aveva senso, si cercava l’autonomia attraverso l’indipendenza. I giovani di oggi hanno tutta un’altra autonomia che noi allora desideravamo, possono frequentare chi vogliono, esprimere al meglio la loro sessualità, frequentare le scuole che desiderano, avere le chiavi di casa. Ma non sono indipendenti, vivono in un limbo di precarietà che ha messo sotto naftalina le loro potenzialità. Sono come anestetizzati, non possono diventare protagonisti.
- Il futuro non esiste, diventa piuttosto un’ossessione senza contenuti.
DECRESCITA, MODERNIZZAZIONE E SVILUPPO
- La pandemia ci può far sviluppare una nuova visione di decrescita. La prima cosa essenziale da dire è che decrescita non significa stagnazione e non crescita. Non si tratta cioè di un fatto meramente quantitativo.
- Al contrario, l’idea di decrescita implica una trasformazione qualitativa rispetto non solo al mondo della produzione, ma a tutti gli aspetti sociali che ruotano intorno alla semplice dimensione economica, il lavoro, i consumi da concezione dello spazio del tempo, la distribuzione della ricchezza, i legami con gli altri, l’idea di gratificazione personale e di felicità.
- Soprattutto perché questa pandemia ci ha messo davanti ad una realtà che non può essere ulteriormente sottovalutata o negata, l’insostenibilità del nostro modello di crescita.
- L’aspetto più importante è che continuiamo a dare per scontato un modello di crescita che proviene dal passato, senza vederne le conseguenze.
- L’impressione che oggi abbiamo e che non si riuscirà mai a consumare tutto quello che si produce, mentre ampie zone del pianeta non hanno di che sopravvivere.
- La decrescita può essere un’alternativa: essa ci spinge a riflettere sulla qualità piuttosto che sulla quantità.
LIBERARE DAL LAVORO: IL REDDITO DI CITTADINANZA
- Sappiamo che la ricchezza prodotta è concentrata perlopiù in poche mani, mentre la gran massa dei poveri ne possiede una quota infima.
- Dobbiamo sottolineare la differenza tra ciò che il mondo promette e ciò che mantiene. Oggi è opinione diffusa e componente essenziale del nostro sentire comune, che tutti abbiamo diritto ad una casa, al cibo, alla salute, alla istruzione. Forse anche allo svago. La questione di fondo è riuscire a garantire a tutti almeno queste opportunità di base.
- A partire dalla crisi del 2008, tutti i servizi pubblici rivolti all’infanzia, ai portatori di disabilità, ai giovani, alla malattia mentale, agli anziani, ai senzatetto, eccetera, sono stati drasticamente tagliati. Anche i costi per la sanità e l’istruzione sono stati fortemente ridimensionati attraverso politiche di privatizzazione, esternalizzazione riduzione del personale, de-finanziamento alla ricerca.
- Quindi un altro concetto che si può introdurre nel nostro sistema sociale è il reddito per tutti.
- Si tenga presente che oggi la ricchezza prodotta e perlopiù acquisita attraverso le nostre vite, la nostra esperienza quotidiana, in particolare attraverso l’utilizzo delle tecnologie. Basti pensare ai fatturati di Google, Facebook, Amazon, Windows e Apple. Sono aziende che guadagnano su di noi, su ciò che facciamo ogni giorno e non sul lavoro di qualcuno. Non è assurdo quindi, pensare che anche noi tutti siamo produttori di quella ricchezza?
- Se si vuole dare davvero piena cittadinanza tutti e se si vuole davvero garantire universalmente una vita dignitosa, qual è l’opzione più praticabile? Un lavoro per tutti o il reddito per tutti? Quale delle due è la soluzione più semplice? Quale maggiormente in grado di creare più soddisfazione per tutti?
TORNARE A CASA, RICOSTRUIRE I LEGAMI
- La dimensione di vicinanza/lontananza imprime alle relazioni una dimensione significativa, senza la quale la relazione svanisce.
- Il mio vicino di casa che incontro tutti i giorni, può essere per me un estraneo, mentre posso sentirmi molto vicino ad un amico che vive a Londra. Però c’è qualcosa che non funziona, se tutti i miei amici stanno a Londra e non conosco nessuno dei miei vicini di casa.
- Riappropriarsi del tempo e dello spazio significa tornare, ricostruire legami sociali significativi.
RIPENSARE L’UTOPIA: EUROPA E PACE
- Ogni progetto di azione è a sua volta inserito in progetti più ampi, per cui la separazione di singoli segmenti significativi è del tutto arbitrario. Prendiamo un ragazzo che si iscrive a medicina perché vuole diventare medico. Ogni singolo esame sostenuto il tempo esatto per prepararsi ad ognuno di essi, sono fini intermedi rispetto all’obiettivo finale. In un certo senso, mezzi rispetto al diventare medico. In fondo, però, anche diventare medico sarà poi mezzo per altri fini. Tipo costruire una famiglia, acquisire un reddito, aiutare i malati, realizzare la propria vocazione e così via. Possiamo allora dire che il vero fine finale, che ricomprende tutti i fini è la nostra vita stessa, intesa come l’insieme per noi significativo delle nostre azioni.
- La pace quindi. E prima di tutto alle generazioni odierne, non deve sembrare un obiettivo scontato, quanto piuttosto un bene prezioso da coltivare e custodire.
LA SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI
- Per il capitale non importa che le forbici siano utili, o perlomeno questo aspetto diventa secondario: ciò che importa è soprattutto il fatto che ci sia un mercato delle forbici disponibile a da acquistare l’oggetto.
- Nel capitalismo neoliberista le cose peggiorano ulteriormente, l’oggetto: tende a perdere anche quel residuo di utilità che ne giustificava il costo. A volte il prezzo è talmente ridotto da giustificare di per sé l’acquisto, indipendentemente dall’uso. Le nostre case sono piene di oggetti inutili che non corrispondono a bisogni reali.
- Al contrario, nella borsa prodotta artigianalmente sono conservati la mano e lo stile di chi l’ha creata. Il rapporto che l’acquirente ha con la borsa. Mantiene in qualche modo vivo il rapporto con il produttore perché l’oggetto rimanda a chi l’ha fatto.
- Il mondo appena alle nostre spalle era ancora piena di forme di rispetto connesse ai diversi ruoli sociali. La maestra, il sindaco, il parroco, il preside, ma anche il calzolaio, il panettiere, il vigile, l’orafo godevano di un rispetto dovuto alle capacità professionali. Oggi invece il rispetto è solo sulla base del rapporto economico.
CONCLUSIONI
- Questi mesi di quarantena sono stati la più grande azione collettiva fatta dagli italiani nel corso della loro storia singolarmente, ma tutti insieme.
Approfittiamone!