Baby gang. Il volto drammatico dell’adolescenza

Baby gang. Il volto drammatico dell'adolescenza
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Pubblicato: 2021

Il fenomeno delle baby gang è in costante aumento e la cronaca riporta sempre più spesso episodi di bullismo, di vandalismo, furti e violenze sessuali che hanno per protagonisti adolescenti, ma a volte anche bambini. Non si tratta di un problema circoscritto alle cosiddette “periferie urbane disagiate”, ma può riguardare tutte le classi sociali. Che cos’è accaduto? Abbiamo cresciuto una generazione di criminali? La società moderna e le nuove tecnologie hanno travolto i ragazzi davanti agli occhi di genitori assenti o impotenti? E soprattutto: cosa fare di fronte ad atteggiamenti che possono sfociare in azioni che infrangono non solo la legge dello Stato ma anche i princìpi elementari dell’etica umana? Per rispondere a queste domande bisogna capire le dinamiche psicobiologiche che stanno dietro i comportamenti delle baby gang, spiega Vittorino Andreoli in questo libro. Significa parlare di adolescenza, l’età della metamorfosi, dell’insicurezza e della frustrazione, la fase dell’esistenza che segna il distacco dalla famiglia e in cui i coetanei diventano il principale riferimento nel bene e nel male, e in particolare di come il gruppo dei pari età si trasforma in una gang. “Solo considerando il fenomeno in tutte le sue sfaccettature è possibile aiutare gli educatori – in primo luogo genitori e insegnanti – e la società con le sue istituzioni a individuare i modi per prevenirlo e per curarlo.” E in questo modo “insegnare a vivere” nel rispetto reciproco e nell’accettazione della fragilità propria e altrui.

  • L’Io quindi è un’entità teorica e oggi sono in molti ad affermare che ciascuno di noi sarebbe stato altro se fosse cresciuto in un ambiente geografico diverso e in un contesto sociale differente.
  • Nel gruppo ciascuno allarga la possibilità di azione poiché proietta la propria forza sugli altri e ne riceve da ciascuno di loro. È il cosiddetto fenomeno dell’espansione dell’Io: il rafforzamento della percezione di sé nel gruppo, che è particolarmente evidente negli adolescenti, dove il singolo si specchia nell’altro o si identifica con tutti i suoi componenti. Avviene così un fenomeno di «incorporazione» che porta a sentirsi più accettati e più forti.
  • Il coraggio del singolo si confonde con quello comune e aumenta attribuendo così all’individuo una forza potenziata dall’insieme.
  • Comportamenti degenerati quando nel gruppo si afferma un leader unico, che ne diventa la guida e impone progressivamente agli altri di seguirlo in tutto ciò che organizza secondo le sue preferenze. È questa la variabile che trasforma il gruppo dei pari età, la cui funzione è utile alla crescita della dimensione sociale del ragazzo, in «branco».
  • La competenza, semmai, non è specifica o settoriale, ma rimanda piuttosto a quella del direttore d’orchestra che non sa suonare il violino come il primo violinista ma conosce perfettamente le potenzialità di tutti gli strumenti e li sa guidare non solo per farne emergere i suoni più straordinari, ma anche per combinare e armonizzare quelli prodotti da ogni componente del gruppo orchestrale.
  • Per questo una delle caratteristiche dell’autorità è l’umiltà, che si colloca all’antitesi dell’imposizione e soprattutto non porta a giudicare, semmai a fornire un aiuto.
  • L’allievo pone una questione al maestro e questi non gli fornisce una risposta imponendola come verità, ma lo coinvolge nel configurare una serie di ipotesi alternative, dalla cui analisi nasce via via la conclusione.
  • La figura che rappresenta l’autorità è sempre capace di unire e mai di separare. Costruisce il gruppo come insieme di persone fragili che, unendo le proprie fragilità, fanno emergere il desiderio non solo di stare insieme, ma di fare insieme.
  • Non è facile nemmeno distinguere il bene dal male, perché anch’essi dipendono da alcune variabili importanti.
  • La prima è che talora il significato e il valore che una persona attribuisce al bene non sono gli stessi per un’altra. Ciò conduce all’apparente paradosso di essere convinti di fare il bene a chi lo considera, invece, un male.
  • Prendiamo un dodicenne che frequenta la seconda media e considera le cinque ore di scuola un’esperienza di frustrazione, non solo perché si deve confrontare con compagni che invece la vivono come gratificante, ma anche perché riceve giudizi negativi (una delle modalità di valutazione degli studenti è ancora, purtroppo, il voto).
  • Questa condizione ha un seguito quando torna a casa, poiché i giudizi scolastici coinvolgono la famiglia (un veicolo è dato dalle «note», oggi più delicatamente chiamate «comunicazioni alla famiglia»), e ne consegue l’obbligo di dedicare il pomeriggio allo studio nel tentativo di rimediare, il che aggiunge frustrazione alla frustrazione: il ragazzo non può stare con i compagni di strada (non di scuola) che lo apprezzano e lo cercano, non può cliccare sullo smartphone né giocare alla PlayStation per punizione. La visione che egli elabora sulla scuola è quanto meno disastrosa, ed è una percezione che non ha nulla di teorico ma è vissuta, momento per momento, sulla propria pelle.
  • Il giudizio nella scuola dell’obbligo è di per sé diseducativo e produce male. Il punto di riferimento non può essere il singolo, ma il gruppo classe, e anche in questo caso la metafora dell’orchestra dovrebbe imporsi.
  • Uno dei segnali più evidenti è dato dal «segreto». In casa non si racconta della nuova vita; quello che si fa con i coetanei è modificato sulle aspettative dei familiari, e dunque falsificato o taciuto.
  • Educare non significa dire «sì» o «no», ma accompagnare gli adolescenti nel distacco da una famiglia, percepita prima come «celestiale» e ora vissuta come «asfissiante».
  • L’adolescenza è legata dunque a una metamorfosi del corpo, della personalità e delle caratteristiche sociali. Da una conformazione «infantile» si passa alla scoperta e alla percezione di una dimensione maschile o femminile.
  • L’adolescenza, pertanto, non esisteva e questo è un segno inequivocabile che si tratta di un’«invenzione» sociale.
  • Ci dobbiamo perciò limitare a un quadro di riferimento, a una cornice, in cui però l’universo dell’adolescente deve risultare in tutte le sue complesse sfaccettature, per evitare che il grave fenomeno della criminalità di gruppo in età adolescenziale venga, come accade molto spesso, riportato tutto alla dimensione punitiva che, in sostanza, rappresenta soltanto una risposta violenta a un comportamento di gruppo violento. Una modalità che ha una sola variabile: l’intensità della pena commisurata alla gravità dell’azione. Si dimostra così che non si è capito nulla, perché si è dimenticata proprio la complessità di questa fase della vita che non può essere letta soltanto considerando i componenti del gruppo ma anche l’ambiente in cui vivono, il livello di benessere o quello di degrado sociale delle loro famiglie. E bisogna tener anche conto del funzionamento dei sistemi educativi.
  • Per avvicinarci a questa comprensione, che non equivale a giustificare e ad assolvere per principio, ma significa cercare di individuare gli elementi che portano a compiere un gesto definito inaccettabile dalla legge o dalla morale, occorre scoprire le dinamiche comportamentali, non i gesti.
  • Il gruppo dei pari età è utile al processo di crescita dell’adolescente.
  • I genitori dovrebbero prendere ad esempio la figura del «consulente».
  • Il modo peggiore per cercare di tenerlo in casa è certamente quello di controllare i compiti assegnati a scuola, e sollecitarlo a prepararsi per le interrogazioni programmate o a offrirsi volontario per recuperare un’eventuale insufficienza.
  • Sindrome di hikikomori
  • Le «droghe» sono sostanze capaci di modificare la percezione di sé e consentono di cancellare rapidamente il senso di inadeguatezza tipico di quest’età.
  • La Dad ha naturalmente molti limiti, primo fra tutti la mancanza di socialità e di rapporto personale tra docente e allievo e soprattutto tra compagni, ma è comunque l’esempio di come le tecnologie rappresentino ormai un ausilio indispensabile per la scuola.
  • È difficile che gli adolescenti considerino la classe come il proprio gruppo. In molti casi rappresenta l’ambito delle frustrazioni.
  • Per questo deve essere chiaro che il conflitto è parte dell’adolescenza, è una connotazione dell’adolescenza «normale».
  • Oggi l’esistenza di un adolescente non è pensabile senza denaro e non era così quand’ero ragazzo io.
  • Capire la differenza tra desideri e bisogni.
  • La mancanza di soldi può indurre a compiere atti insensati, per esempio a rubare.
  • Non è mai una buona tecnica spaventare un adolescente: potrebbe essere una maniera paradossale per indurlo a sperimentare il pericolo.
  • Le azioni delle baby gang sono molto varie e hanno significati differenti. Possiamo distinguerne quattro tipologie: la prima è centrata sul denaro, per poterne ottenere in maniera diretta o attraverso oggetti, il cui significato è il valore monetario; la seconda sulla sessualità, sull’imporre il proprio istinto-desiderio erotico ed estorcere il piacere; la terza sulla sopraffazione psicologica e sociale, che viene oggi chiamata «bullismo»; la quarta sulla distruzione delle cose, e si definisce «vandalismo».
  • Tuttavia, è indubitabile che, negli ultimi decenni, questo fenomeno concerne l’adolescenza. Si attiva anche in questo caso la dinamica del gruppo: nessun componente di una baby gang, da solo, tenterebbe mai di violentare una ragazza.
  • Anzi, gli adolescenti di oggi non occupano più, nei rapporti ordinari con le pari età, quella posizione di dominio che la cultura del passato attribuiva al maschio. È cambiata anche la liturgia della conquista.
  • L’immagine del cavaliere che estrae la spada e conquista la donzella appartiene ormai al passato. Suona persino ridicolo distinguere tra sesso «forte» e sesso «debole».
  • La regia del rito è in gran parte passata alle ragazze, le quali tendono a difendere il diritto al piacere che nella femmina, già per questioni anatomiche, richiede tempi diversi dal maschio.
  • Oggi i ragazzi hanno paura di fallire e lo dimostra il consumo di Viagra negli adolescenti, che può essere interpretato come timore dell’impotenza.
  • Questa trama totalmente cambiata pone l’interrogativo se le gang di adolescenti centrate sull’azione dell’eros si debbano piuttosto intendere come meccanismi di spostamento, di compenso per un ruolo perduto sul piano antropologico e, prima ancora, nel confronto con le altre specie viventi in cui il dominio del maschio, almeno ai nostri occhi, esiste ancora.
  • È pertanto comprensibile che sia facile identificarsi con il «cattivo»: questo termine è anche un attributo del potere che, concretamente, significa «colui che ti può cambiare la vita e da cui, dunque, la tua vita dipende».
  • Ecco allora delinearsi la prima ipotesi: il bullo e il gruppo dei bulli rappresentano, in maniera organizzata e attiva, l’identificazione con il «cattivo».
  • La cattiveria può attirare più della bontà.
  • È un’ipotesi che segue lo stile della lettura psicoanalitica e dell’attivazione di molteplici meccanismi difensivi: quella del rifiuto della propria parte debole che viene spostata sull’altro, su chi lo è particolarmente e non è amalgamato con il gruppo poiché è un handicappato. Spostando sul più debole la propria parte debole, i componenti di una gang di bulli la mascherano usando il processo di identificazione con l’aggressore e quindi colpendo il più debole.
  • In ogni uomo si attiva talvolta la voglia di rompere le cose, e trova l’origine nella frustrazione. In quel malessere che ciascuno di noi prova di fronte a una persona o a un ambiente da cui si sente non accettato o sottovalutato e in cui, però, non ha la possibilità di esprimere il disagio per l’ingiustizia che subisce, che pur disapprovando è costretto ad accettare.
  • Per capire la dinamica della distruttività nella espressione che raggiunge nel gruppo, occorre ricordare che l’atto di rompere non rappresenta solo uno sfogo per la rabbia, ma è anche il simbolo del dominio. Si può dominare amando o distruggendo. È lo stesso processo che, nei legami affettivi, giustifica il passaggio dall’amore all’odio: i due volti antagonisti sono le maschere di una stessa realtà.
  • Il primo che viene in mente è quello di rispondere alla violenza con punizioni esclusivamente violente.
  • Le persone che hanno un comportamento violento non sono, come si crede, spaventate dalla violenza che, semmai, può stimolarle a compiere azioni ancora più estreme.
  • Tutte le volte che si è applicata la «legge del taglione» si è sempre assistito all’aggravarsi del fenomeno.
  • Per ottenere dei risultati dobbiamo affidarci alle nostre conoscenze scientifiche sul periodo della crescita e ai principi dell’umanesimo che in questa fase si traducono nell’insegnare a vivere. Ciò richiede in primo luogo di attivare e coordinare i sistemi dell’educazione e poi di disegnare un futuro che permetta ai giovani di esserne i piccoli o grandi protagonisti. A questo proposito occorre mettere al primo posto il problema giovanile che – solo per portare un esempio – nel nostro Paese è dimenticato, come non esistesse.
  • Le baby gang richiedono, poi, interventi che affondino le radici nella psicologia dei gruppi che non è mai completamente riportabile alla dinamica individuale.
  • L’intervento educativo deve dunque rivolgersi alla formazione del gruppo, nella certezza che quattro-cinque adolescenti, i quali presi separatamente hanno un comportamento socialmente accettabile, insieme possono agire da delinquenti.
  • Ecco perché il baricentro dell’educazione va spostato dall’Io al Noi.
  • Ascoltando un adolescente, ci si rende conto che per lo più i desideri dell’altro non esistono.
  • È anche questo un chiaro segnale della deformazione del «privato» e dell’esclusione di ciò che è «pubblico» dal desiderio.
  • Se tra i miei desideri ci fosse quello di una città più pulita, la mia prima spinta comportamentale sarebbe di non contribuire a sporcarla, poi di pulirla per quegli aspetti che sono alla mia portata: raccogliere una bottiglia vuota che vedo camminando sul marciapiede, pulire il pianerottolo su cui dà la mia porta di casa.
  • Un Paese di cui si è detto che il suo petrolio è la bellezza. Una realtà misconosciuta da chi lo abita e che è pronto, per il proprio vantaggio, a deturparlo e a saccheggiarlo. Non è possibile tacere questa evidenza quando si tratta il grave tema del vandalismo nell’ambito delle baby gang.
  • Se solo si destinassero all’educazione le risorse erogate per reprimere i danni derivati da una sua mancanza, non si proporrebbe nemmeno l’eterno problema dei costi, diventato ormai la maschera dell’incapacità di comprendere quanto sia essenziale educare senza promuovere la paura. Con il terrore non si educa ma, credendo di dominare la violenza, la si genera.
  • Ne consegue che i docenti devono essere «formati» per insegnare e che tale formazione deve essere continua, diretta alla loro dimensione personale da un lato e dall’altro all’aggiornamento di un sistema educativo che, nella scuola dell’obbligo, ha come riferimento il gruppo classe o, in altre parole, i singoli come parte del gruppo.
  • E, a questo proposito, trovo incredibile la differenza di trattamento remunerativo tra la magistratura e gli insegnanti: mi sembra un indice di come una società consideri punire più importante di educare.
  • L’educazione individualizzata che non produce l’unità della classe ma la sua frantumazione, che viene sistematizzata con un giudizio gerarchizzante, è per definizione l’antitesi dell’educazione di gruppo. Il voto è una misura gerarchizzata.
  • L’uso del bacio nella storia antropologica.
  • Si ritiene che si esprimesse nel passaggio dall’alimentazione con il latte materno a quella più ricca degli alimenti provenienti dalla natura: la madre mastica il cibo, lo trasforma nel bolo, e lo pone nella bocca del bambino. È un gesto che si osserva negli uccelli e in molte specie in cui è la madre a digerire il cibo e a riportarlo nel becco per poi imboccare i piccoli. Il bacio è un imboccare.
  • Un filosofo che stimo molto è Anselmo d’Aosta: ha descritto una via che dall’uomo conduce a Dio attraverso la percezione dell’imperfezione umana e del desiderio che ciascun uomo prova di migliorarsi in una progressione che, portata al limite, raggiungerebbe la perfezione.